Università, il boom delle facoltà sostenibili

Università, il boom delle facoltà sostenibili

C’è sempre più sostenibilità nei corsi universitari italiani. Il fenomeno è già in corso da qualche anno, ma sta accelerando, complice il PNRR che destina alle imprese ingenti risorse in materia: nell’anno accademico 2021/2022 sono stati lanciati 47 nuovi corsi di laurea tra sostenibilità e digitale, per il 2022/2023 si è saliti a 60. Tra le nuove triennali figurano quelle in Economia sostenibile per le sfide sociali, Biologia della salute umana e ambientale o Ingegneria dell’energia elettrica per lo sviluppo sostenibile, mentre tra le magistrali ci sono Ospitalità per lo sviluppo turistico sostenibile, Economia, finanza e sostenibilità, Sostenibilità trasformativa.

E proprio i corsi a tema sostenibilità sono stati al centro dell’attenzione all’open day della Statale di Milano che si è tenuto a metà maggio, a cui hanno partecipato 6.000 ragazzi.

In via Festa del Perdono è stata presentata per esempio la laurea in Agricoltura sostenibile, che sostituisce Scienze e tecnologie agrarie e Agrotecnologia. L’obiettivo è la formazione dei nuovi agronomi specialisti dell’agricoltura di precisione, esperti nell’utilizzo di sensori e robot. C’è poi la nuova laurea magistrale in Sustainable natural resource management. Ma i nuovi corsi di laurea all’insegna della sostenibilità sono un po’ dappertutto, dall’università di Verona con la triennale in Innovazione e sostenibilità nella produzione industriale di alimenti, a Ca’ Foscari di Venezia con la laurea magistrale in Economics, finance and sustainability che si concentra sugli impatti del cambiamento climatico e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Tra rischio geologico e gestione energetica

Già da quest’anno è attiva a Padova la laurea magistrale in Sustainable science and technology for circular economy e quella in Water and geological risk engineering, con focus sull’analisi, il monitoraggio e la mitigazione dei rischi connessi ai disastri idrogeologici e geologici; a Modena e Reggio Emilia è partita la magistrale in Sostenibilità integrata dei sistemi agricoli; a Bari il nuovo corso professionalizzante in tecniche per l’agricoltura sostenibile. Senza dimenticare i master, dal Masem (sustainability and energy management) della Bocconi che prepara ad affrontare le sfide della sostenibilità al master di II livello Iac (Interdisciplinary approaches to climate change) alla Statale di Milano, in collaborazione con la Seattle university e centri di ricerca internazionali, fino al master in Sostenibilità socio ambientale delle reti agroalimentari dell’Università di Torino.

Corsi triennali, studi professionalizzanti, master: da Reggio Emilia a Bari la sostenibilità è protagonista della formazione superiore.

Il fenomeno, s’intende, è globale.

Lo dimostra un evento simbolico per il mondo universitario degli Stati Uniti e del mondo intero: per la prima volta dopo 70 anni Stanford lancia una nuova facoltà, la Stanford Doerr School of Sustainability, che prende il nome dal venture capitalist che le ha donato oltre un miliardo di dollari. Una facoltà dedicata alla sostenibilità e all’impatto climatico, dove insegneranno 60 professori, che sarà affiancata da un acceleratore per startup e spin-off accademici. «Clima e sostenibilità saranno la nuova computer science» ha affermato Doerr.

«Bene la sostenibilità, ma senza perdere di vista il resto»

Ma non è tutto oro quel che luccica, anzi verde quel che sembra green.

Il proliferare delle facoltà e dei corsi universitari a tema sostenibilità fa sì che, inevitabilmente, non tutti siano all’altezza della sfida. Qualche perplessità insomma si fa largo tra gli addetti ai lavori. Come ha detto a Economy Federico Visconti, rettore della LIUC Università Cattaneo, «Alla LIUC perseguiamo un sano equilibrio tra contenuti tradizionali e innovativi. Dico questo perché i temi-mantra un po’ mi preoccupano. Ben venga che si insegni sostenibilità, ma si deve anche saper fare, per esempio, un’analisi dei flussi finanziari. Credo ci voglia cautela su temi un po’ troppo di moda,che si debba riflettere sul percorso che può portare allo sviluppo di quelle competenze, che deve essere inevitabilmente graduale. Per fare un altro esempio, non posso buttare via gli esami di diritto perché voglio fare solo sostenibilità. Oggi c’è un panorama accademico in cui si lanciano abbastanza facilmente corsi di laurea a effetto. Dobbiamo mettere in condizione i ragazzi di imparare sempre cose nuove, ma questo non vuol dire spostare l’asse solo su tematiche di cui a volte si parla senza avere più di tanto ragione di cosa vuol dire insegnarle. Ho la sensazione che stiamo spingendo un po’ troppo il pendolo in avanti su temi sui quali non siamo ancora detentori di robusti contenuti da insegnare».

Nel 2021 le imprese hanno chiesto competenze green al 76,3% delle assunzioni.

Per orientarsi nella grande offerta formativa sostenibile può essere utile guardare alle competenze che vengono, e presumibilmente verranno, richieste dal mercato del lavoro. Utile a questo proposito il recente volume “Le competenze green” del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ANPAL, realizzato in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di commercio G. Tagliacarne. Il dato di fondo è chiaro: la sostenibilità ambientale è sempre più una variabile di cui tenere debito conto nella propria formazione. Secondo i dati contenuti nel rapporto, infatti, nel 2021 le imprese hanno richiesto competenze green al 76,3% delle assunzioni programmate, pari a oltre 3,5 milioni di posizioni, nel 37,9% dei casi con un grado di importanza per la professione elevato.
Oltre la metà delle imprese, il 52,5%, ha investito in competenze green. La domanda di competenze per la transizione verde pervade l’intera economia, sebbene con diversi gradi di intensità. Per l’industria, si evidenzia un’elevata richiesta di competenze green nel settore dell’estrazione dei minerali (sono necessarie per il 79,7% degli ingressi programmati), nel comparto del legno e del mobile (78,8%), nelle costruzioni (78,6%), nelle industrie chimiche, farmaceutiche e petrolifere (78,5%), per le public utilities (77,8%) e per la meccanica (76,8%).

L’edilizia ha bisogno di competenze green

Ancora, le competenze green sono dirimenti per gran parte dei mestieri legati al comparto dell’edilizia, quali ad esempio i tecnici e ingegneri delle costruzioni civili (competenze richieste con elevata importanza al 78,6% e al 71,2% delle entrate) e i tecnici della gestione dei cantieri edili (55%), chiamati a operare sia per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio già esistente, sia nella progettazione e costruzione di nuovi edifici ecosostenibili. Ma le competenze green sono decisive anche ai fini dell’assunzione di ingegneri elettronici e in telecomunicazioni (64,5%), tecnici gestori di reti e di sistemi telematici (57,8%), spedizionieri e tecnici della distribuzione (56,4%), tecnici chimici (52,6%), insegnanti nella formazione professionale (52,3%). Quanto agli indirizzi di laurea, quelli a cui è associata una domanda della green skill di grado elevato superiore alla media – pari al 45,5% – sono l’agrario, agroalimentare e zootecnico (competenze green elevate richieste al 74,7% dei laureati), ingegneria civile ed architettura (61,5%), ingegneria industriale (55,9%) e statistica (54%). I risultati del Sistema Informativo Excelsior evidenziano, inoltre, che il mismatch cresce all’aumentare dell’intensità dell’importanza con cui sono richieste le competenze green. Nello specifico, si rileva una difficoltà di reperimento delle competenze green per il 33,8% delle entrate, quota che arriva al 36,9% quando sono necessarie con elevato grado di importanza.

Crescono le opportunità legate ai Green Jobs

Oltre alle competenze green diffuse, il Sistema Excelsior mette in evidenza le assunzioni programmate dalle imprese per le professioni caratteristiche della Green Economy. Nel 2021 sono stati previsti dalle imprese 1,6 milioni di contratti per veri e propri Green Jobs, pari al 34,5% del totale delle entrate, ritornando ai livelli pre-pandemia registrati nel 2019. Rientrano tra i Green Jobs:
* i tecnici del risparmio energetico e delle energie rinnovabili
* il responsabile delle vendite di prodotti verdi
* l’analista e progettista di green software
* l’esperto legale ambientale.

I settori dell’industria evidenziano un’incidenza di Green Jobs maggiore (68,6%) rispetto ai servizi (20,9%). Le costruzioni si confermano al primo posto per quota di Green Jobs (86,7% sul totale delle entrate del settore), seguite dalla meccanica (84%), dalle industrie della gomma e delle materie plastiche (82,8%). Per quanto riguarda i servizi, presentano incidenze di Green Jobs superiori alla media logistica (72,4%), servizi avanzati di supporto alle imprese (52,5%), servizi finanziari e assicurativi (40,6%) e ICT (40,2%). I Green jobs sono caratterizzati anche da una richiesta più intensa di problem solving, di capacità di gestire soluzioni innovative e di competenze matematiche e informatiche.

Ma le imprese faticano a trovare le figure richieste: la difficoltà di reperimento si è riscontrata nel 40,6% dei casi.

Fonte delle tabelle: Unioncamere – ANPAL, Sistema Informativo Excelsior

R.V.

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